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Home » editoria » LA FIGURA DELL’EDITOR: INTERVISTA A RENATO M. BRUNO
martedì, 20 Ott 2015

LA FIGURA DELL’EDITOR: INTERVISTA A RENATO M. BRUNO

Post by on editoria 6584 6

Renato Agosto 2014_crNel processo che vede la nascita di un libro, l’editor è una figura centrale, anche se opera sempre ‘dietro le quinte’ e la gran parte del pubblico ne ignora persino l’esistenza. Il suo compito è difficile da racchiudere in un’unica definizione, ma possiamo dire che contempla ad esempio, l’individuazione delle incongruenze e delle parti superflue del testo, degli errori di sintassi e di grammatica, della mancata continuità narrativa di certe pagine e della fluidità di singole frasi, quando non di interi periodi… Per svolgere al meglio questo compito, senza prevaricare al tempo stesso stile e contenuto dell’autore, non basta la perfetta padronanza della lingua italiana, ma è necessario conoscere bene i generi letterari e i parametri attorno a cui va costruito un romanzo o un saggio affinché esso sia solido; è necessario inoltre un ricco vocabolario, che si acquisisce solo leggendo, leggendo, leggendo; è necessario sviluppare una sensibilità alle sfumature sintattiche che si acquista solo editando, editando editando. Insomma, da un lato è una tecnica ma dall’altro è un’arte e diventa tanto più arte quanto più viene esercitata.  Purtroppo, solo chi ha visto all’opera un editor con la E maiuscola conosce la differenza che può fare lo spostamento del fulcro lungo la barra di questi due estremi. Ma proprio per questo non ci si può improvvisare buoni editor: è necessaria tanta gavetta e, possibilmente, una guida iniziale, per poter trasformare, appunto, la mera tecnica in arte.

 

Purtroppo, in un mondo editoriale che va sempre più di fretta e che cerca di abbattere sempre maggiori costi, la qualità dell’editing è un parametro che si va perdendo, e anche quando non sono la fretta e i costi a minarla, può esserlo la spasmodica ricerca della semplificazione, sia sintattica che concettuale, in nome della commerciabilità e, quindi, delle vendite. E se gli editor di molte case editrici, anche loro malgrado, sono costretti ad adeguarsi a queste richieste, gli editor freelance cercano di resistere e di combattere per preservare l’integrità di questo delicato e bellissimo mestiere.

 

Ho voluto allora intervistare uno di loro, Renato M. Bruno, un professionista che si è formato oltre vent’anni fa in un’agenzia letteraria e che da alcuni anni ha intrapreso il cammino solista e solitario di quelli che potremmo ormai definire gli ultimi ‘highlander’ della parola scritta.

 

 

Editor freelance: come nasce l’idea di intraprendere questa professione?

Per una necessità che si fa virtù o, se si preferisce, per una virtù così a lungo coltivata da trasformarsi in pane quotidiano. Nel mio caso, direi che è stato più per destino che per scelta: mi ci sono trovato “dentro” quest’attività, che mi piace definire più mestiere che professione. Mi suona persino strana la definizione di “editor”: quando mi ci chiamano ho sempre l’impressione che si stiano rivolgendo a qualcun altro, non a me. Dopo aver prestato servizio per moltissimi anni in una grande agenzia letteraria romana -che mi ha licenziato senza tanti scrupoli- che altro avrei potuto fare alla mia età se non far diventare lavoro la passione di sempre per la parola scritta? Ho messo a frutto le numerose competenze editoriali acquisite e, rispolverando tutta la mia disponibilità verso gli Autori e i loro inediti, mi sono messo in proprio, memore del famoso adagio “sfrutta l’arte che hai messo da parte”.

 

Quali sono le doti indispensabili, secondo Lei?

Doti? Se ci riferiamo ai pre-requisiti indispensabili per le competenze specifiche del mestiere, rispondo che è fondamentale, in primis, tutto ciò che non è professione, ciò che sta ai bordi della scrivania di lavoro: il gioco, l’ironia, la conversazione brillante, il senso dell’orientamento, le lunghe passeggiate, l’attitudine a modulare la propria voce interiore, il piacere di sognare ad occhi aperti, di saper ascoltare. Per correggere o ritoccare il ritratto di un personaggio, o solo per ridefinire in termini più chiari un’asserzione psicologica o scientifica, c’è bisogno di una vita privata ricca di stimoli e di esperienze.

Per le competenze professionali, invece, direi che è fondamentale una cultura di base ampia ed eterogena, la conoscenza di altre lingue, una corroborata familiarità con le regole della lettura e della scrittura, meglio se come risultato di un percorso di studi critico-testuali e linguistici approfonditi. E poi, soprattutto nel campo narrativo, alla morfologia affiancherei la psicologia: la parola rivela o nasconde, a seconda degli stati d’animo.

 

L’editing è un’arte sottile e sfumata, come si riesce a evitare che la revisione stravolga la natura del testo originale?

Anche qui c’è da distinguere: ci sono testi che mi obbligano a un lavoro certosino sulla forma, perché tutto il resto funziona, bene o male. Per altri scritti, tuttavia, intervenire sulla forma porta con sé, ovviamente, una revisione anche sugli aspetti extra-morfologici dello scritto: l’intervento sul lessico non è scindibile da un diverso ordine semantico della frase sottoposta a correzione. Nel mio caso, soprattutto quando si tratta di opere di esordienti, le due modalità di revisione producono un testo finale spesso poco, moderatamente, molto diverso da quello originale. Fermo restando il dialogo con l’Autore e la sua necessaria approvazione sul cambiamento apportato. Troppi testi, pur avendo una storia interessante da raccontare, presentano una forma generale “gracile”, necessitano subito, da parte del revisore, di un trattamento ricostituente. L’invasione di campo, la sovrapposizione della mia mano a quella dell’autore, si evita fotografando prima, ricostruendo prima di ogni singola correzione la reale intenzione dell’Autore. Il rischio dello stravolgimento credo sia più reale per l’editor della casa editrice: mutare, per esigenze editoriali, un finale tragico in un happy end, p.e. Io ho con l’autore un rapporto diretto e sincero: se stravolgo vengo subito bacchettato!

 

Come si dirimono gli eventuali conflitti con gli autori?

D’istinto risponderei che non si dirimono, perché restano! Quando sono frutto di una profonda frattura ideologico-culturale non vengono sanati: il testo è dell’Autore e a questi spetta l’ultima parola, anche nel caso in cui la frase o il concetto in discussione rischia, secondo me, di pregiudicare la buona accoglienza editoriale e di pubblico dell’opera revisionata. Quando invece le questioni divampano per divergenze stilistiche, per via del lessico non appropriato o a causa di riflessione non adeguate alla circostanza narrativa in esame, beh, sta a me come editor mettermi nei panni dell’Autore e risolvere diplomaticamente i vari punti d’attrito. Si evitano i conflitti radicali assillando gli Autori con continue spiegazioni e delucidazioni, illustrando loro il perché di questa o di quest’altra mia correzione. Anche qui, fondamentale è il dialogo.

 

Fino a che punto l’editor è semplicemente tale e quando diventa invece un “book doctor?

Per come io svolgo la mia attività, a tu per tu con l’autore, io mi trovo già a svolgere il ruolo del “book doctor”. Se escludiamo i testi di saggistica, per i quali ho o non ho le conoscenze atte all’integrazione delle parti mancanti, per la narrativa, là dove richiesto, io tratto già il paziente/testo con cure e interventi anche “invasivi”. I miei interventi di correzione, non sempre, ma spesso, costituiscono un miglioramento estetico, additivo o sottrattivo, dello scritto. Se l’autore riconosce la mancanza di un capitolo di passaggio importante per il buon esito della storia raccontata, lo riscriviamo a quattro mani. Lo stesso vale per altri interventi che precedono la stesura finale del testo o la parte della post-produzione. Stare accanto all’autore significa, almeno per me, condividere tutti i passaggi cui il suo testo va incontro. In questo senso sono un editor “atipico”, perché mi prendo cura dell’autore e non solo del suo singolo testo. L’assistenza va, con tutti i passaggi intermedi, dalla correzione all’analisi dell’eventuale contratto di pubblicazione ricevuto . A mio avviso, frammentare questa attività i tanti micro-segmenti tra di loro non comunicanti, è nocivo per la salute stessa dell’opera e dell’editoria in genere.

 

Nel corso della propria carriera, in quali altri problemi l’editor s’imbatte con più frequenza?

Li dividerei essenzialmente in due tronconi: da una parte quelli che derivano dalla distorsione pubblica della figura dell’editor, e dall’altra quelli che più da vicino riguardano le modalità di assunzione degli editor da parte delle case editrici. Troppi autori, soprattutto quelli che si auto-pubblicano, mostrano verso l’editor qualificato la stessa paura dei vecchi indiani d’America di fronte alla macchina fotografica: temono che al loro scritto venga sottratta l’anima! Abbattere certi pregiudizi sugli addetti al lavoro editoriale è impresa titanica. La conseguenza è la crescita abnorme di un certo self-publishing all’insegna del “se mi scaricano allora vuol dire che scrivo bene”(!?), con pubblicazioni sgrammaticate , infarcite di luoghi comuni o peggio che scimmiottano i generi più in voga.

 

L’altro troncone d’attrito è dato dalla politica “al ribasso” imperante in molte redazioni editoriali. Assumendo, infatti, a basso costo e servendosi soprattutto di giovanissimi “editor” – secondo me dalla insufficiente competenza linguistica e dalla scarsa cultura generale (ma portatori di gravi fiscali)- le case editrici contribuiscono, loro malgrado, a creare nella mente degli autori la certezza che uno spazio editoriale, prima o poi, ci sarà anche per loro, visto che tanto loro, gli autori non ancora editi, hanno tra le mani opere pubblicate, pur se manifestamente di scarso valore letterario. Tempi duri per tutti gli editor che concepiscono la lingua, parlata e scritta, come un bene comune, essenziale e culturale, da preservare.

 

Problemi legali?

No, per fortuna. Non ho mai ricevuto, per ora, testi bisognosi di una riservatezza da documentazione allegata “top secret” o delicatissimi per il loro contenuto. Per mia prassi, tendo a conoscere direttamente gli autori cui offro il mio servizio. Quasi mai inizio una revisione testuale senza aver prima meritato la fiducia dell’autore. E devo dire che mai nessuno ha avuto motivo di sospettare un uso fraudolento del materiale a me consegnato. Per ora, questo dialogo diretto, tra freelance e autore, mi ha preservato da querelle o questioni legali vere e proprie.

 

Ha qualche aneddoto che vuole condividere, positivo o negativo che sia?

Preferirei non mancare di rispetto ad alcuno. Su certi involontari errori di sintassi o di concetto dei miei autori-clienti ho riso a lungo –ma evito di riportare qui citazioni dagli originali. Sorrisi e perplessità mi suscitano le schede editoriali che gli autori mi allegano ai testi rifiutati da agenzie e da editori: sono uno spaccato di furbizia e di retorica italica da incorniciare! In alcune redazioni espressioni come “onestà intellettuale, franchezza, paternità e serietà di giudizio” sono asserzioni di responsabilità estinti da secoli. Comunque, le chicche che riporto riguardano i “colleghi” editor ufficiali, quelli che bazzicano le redazioni delle case editrici serie. Tipo “Re del celeste impero” al posto di Imperatore; tanti ‘se potrei’ e ‘se farei’; alcuni “giovane ragazzo, piccola casetta, po’ –con l’accento- una grossa disgrazia”; qualche “a però” , e per il termine “aggricciato” (rattrappito, contratto) una barra di cancellazione con questa dotta spiegazione al margine: “ L’autore è pregato di astenersi dall’uso di termini dialettali.” Ma più preoccupazione e nervosismo mi destano la volontà delle case editrice di eliminare le forme verbali composte, –esasperando così l’uso-abuso del passato remoto e dell’imperfetto- il periodo ipotetico, le frasi subordinate e, recentemente, il via libera concesso all’abuso della preposizione “in” – a scapito di “a” e delle sue antiche articolazioni. Compro e correggo romanzi dove vezzi e tic linguistici alla moda sono la spia di un conformismo mentale oramai dilagante.

 

Quali sono i tempi di lettura e di revisione? Ci sono scadenze imposte?

L’essere freelance consente di concordare con l’Autore modalità e tempi abbastanza elastici. Ci sono lavori che richiedono interventi supplementari alla seconda revisione ed altri che una volta ingranata la marcia giusta si consegnano prima del previsto. In questo, direi, che ogni editor si prende il tempo necessario, perché ogni testo è una storia a sé –fermo restando che nel caso dell’auto-pubblicazione tramite E-book , mi occupo anche di questa modalità, bisogna calcolare anche i tempi per la formattazione del testo, la sua copertina e la messa on line del medesimo. Anche per le scadenze di consegna , quindi, la mia è un’attività ancora “artigianale”, dove il fattore tempo è spesso sinonimo di cura e attenzione.

 

I traguardi di cui va più fiero?

Quelli in cui scarso è stato il ritorno economico ma consistente l’apporto umano. Da alcuni autori, più di saggistica che di narrativa, io ho imparato, sto imparando sia a ben convivere con i miei limiti professionali sia ad apprezzare ogni volta di più la fatica concreta e intellettuale che costa a chi scrive, il piegare la lingua alle esigenze di una comunicazione chiara e immediata. Il traguardo è sempre di là da venire, l’esposizione corretta del pensiero quale prodotto d’una raggiunta serenità interiore è sempre una conquista ancora tutta da vivere. Nel frattempo, la strettissima collaborazione con l’autrice Sonia Scarpante, per il suo manuale, Parole evolute. Esperienze e tecniche di scrittura terapeutica (2014, EdiScienze), e lo stimolante scontro/incontro culturale, e caratteriale, con Pina Varriale, instancabile e bravissima scrittrice per ragazzi –in contatto con me per alcuni testi “per adulti” ancora inediti- più la sporadica ma intensa frequentazione con il poeta e romanziere e saggista Dante Maffía, calabrese ma residente a Roma, mi inducono a ben sperare in altri soddisfacenti traguardi professionali.

 

Come vengono accolti dagli addetti, dagli agenti, dagli editori, i testi editi da un editor freelance?

Bella domanda! Ma sarebbe più corretto rivolgerla ai suddetti. La simpatia che gli editori italiani riservano agli altri operatori del settore non è mai stata delle più cordiali. E confesso che non so a che punto è oggi, con la crisi economica, l’avanzare dell’editoria digitale, con la cronica mancanza di lettori, etc. C’è poi da considerare che sono pochi gli autori disposti a dichiarare, col nome dell’editor sul frontespizio, che si sono avvalsi della mia o altrui cura e collaborazione. Poi bisogna anche tener conto dei pregiudizi dei vari direttori editoriali, e poi… del fatto che siamo italiani, cioè diffidenti e poco propensi a fare squadra, a riconoscere, pubblicamente, ad ognuno il propri ruolo e competenza. Quindi, meglio per un freelance scommettere sull’originalità e la qualità alta del prodotto da offrire. Il resto è solo grande impegno accanto all’autore: la diffidenza delle case editrici verso gli esordienti si modifica nel tempo e da qualche parte, poi, uno spiraglio si apre sempre.

 

Quale consiglio finale a chi volesse intraprendere questa carriera?

Prima di rispondere vorrei esprimere un ringraziamento a Pia Barletta, una collega che, involontariamente, mettendo lei per prima le mani su un inedito, che dopo la sua ottima correzione è arrivato a me per una revisione più invasiva, mi ha offerto lo spunto per una riflessione accurata sulle diverse modalità di correzione/revisione cui può essere sottoposto uno scritto. Questo per affermare come il dialogo, l’esperienza diretta e la politica dei piccoli passi, di educazione e di formazione culturale soggettiva, ogni volta da consolidare, siano funzionali a questo mestiere e come la professione di editor sia un continuo imparare dagli altri, un far tesoro delle rispettive e diversificate competenze e analisi altrui. Da ciò l’evidenza che forse non si “intraprende” questa carriera, che ogni editor vi approda per caso, per fortuna, provenendo da altre terre, da altri studi, da altri percorsi, più o meno limitrofi alla lingua da salvare.

Consigli? Leggere, leggere, leggere! Mai stancarsi di leggere libri che impegnano la mente. Quindi, tuffarsi ogni tanto nelle manifestazioni e nelle fiere del libro, per tastare il polso all’editoria. Ma, mi lasci dire, nessun consiglio è valido, nessuna scuola di scrittura o di lettura ha senso, se poi ci si dimentica di curare e coltivare il linguaggio e la propria formazione culturale. Fondamentale la curiosità e un pizzico di sana follia.

 

°*°*°*°*°*

Renato M. Bruno è un editor freelance da alcuni anni. Grazie alla sua laurea (110) in Lingue e Letterature Straniere moderne, alla Sapienza di Roma, ha lavorato per vent’anni circa in una storica e grande agenzia letteraria internazionale romana. Divoratore di libri di poesia e di narrativa di qualità, è un appassionato fotografo naturalista dilettante; ha un fine orecchio musicale e un’estrema sensibilità e duttilità nell’immedesimarsi nella voce e nel pensiero dei personaggi sottoposti alla sua meticolosa attività di correzione e revisione. Ama definirsi un artigiano della parola, un difensore della lingua e delle sue raffinate sfumature estetiche. Vive ad Anguillara Sabazia, sul lago di Bracciano –che gira in lungo e in largo con la sua “famosa” canoa rossa!

Oltre al suo indirizzo di posta elettronica lo si può contattare attraverso il profilo LinkedIn e la sua  pagina o il suo gruppo Facebook.

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