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Home » Case editrici » RIFLESSIONI SUL SALONE DEL LIBRO DI TORINO
lunedì, 29 Mag 2023

RIFLESSIONI SUL SALONE DEL LIBRO DI TORINO

Post by on Case editrici, editoria 843 0

Qualche considerazione personale dopo essere stata al Salone del libro di Torino, il primo Salone di Torino davvero libero dopo le – è sempre necessario sottolinearlo e ricordarlo – assolutamente illegittime restrizioni covid, e quindi l’unico davvero comparabile con le precedenti edizioni, quelle di un mondo normale come sempre dovrebbe essere.

 

Tutti gli editori-clienti con cui ho parlato si sono detti soddisfatti dalle vendite. Alcuni addirittura soddisfattissimi, a seconda della posizione dello stand, che purtroppo gioca davvero molto. In ogni caso, è stata una conferma che le fiere del libro – e a maggior ragione quella di Torino, che è la più grossa è la più famosa – rivestono la loro assoluta importanza nel dare ossigeno a un settore da troppo tempo al collasso.
Le fiere dell’editoria sono infatti gli unici modi, per tutti i medi e piccoli editori (e indirettamente anche per i loro autori) che non hanno chiaramente la visibilità dei grossi, di farsi finalmente notare e di far arrivare per le proprie opere al pubblico. Un pubblico normalmente frastornato, da un lato, dalla vastità labirintica dell’offerta Amazon e,  dall’altro, dalla sovraesposizione in libreria unicamente dei soliti noti, sia in termini di firme autoriali che di marchi editoriali.

 

La dolente nota è stata invece, al solito, l’organizzazione, non solo per quanto riguarda gli insufficienti punti di ristorazione e le insufficienti toilette, che si risolvono in code interminabili, ma anche in termini di segnaletica, gravemente insufficiente. E se il secondo punto resta – temo – irrisolvibile a meno di una ristrutturazione degli spazi, per risolvere il primo e soprattutto il terzo ci vorrebbe davvero solo un po’ di buona volontà da parte dell’organizzazione, a maggior ragione considerando che siamo alla 35esima edizione, non alla terza!

 

Infine c’è un aspetto negativo che ritengo cruciale e pur tuttavia so che mai verrà sanato: l’accesso alla fiera da parte di editori a pagamento e a doppio binario. A prescindere dalla qualità del catalogo (e va riconosciuto alcuni a doppio binario ne hanno di davvero belli e validi, io stessa talvolta ho comprato saggistica da loro), un salone del libro dovrebbe porre l’accento sui libri e non, genericamente, su tutte le pubblicazioni, ma solo a quelle che vengono pubblicate da coloro che si possono fregiare del titolo di editore dal punto di vista giuridico. Da chi, cioè, offre contratti di edizione, e quindi a spese dell’editore. Ciò nell’ottica di dare visibilità a quegli editori che normalmente ne hanno poca e che subiscono una concorrenza enorme da coloro che fanno editoria a pagamento e a doppio binario. Per questi ultimi, infatti, la vendita del libro è solo un guadagno accessorio ed eventuale, mentre quello principale è costituito dagli esborsi dei propri autori e con quelli stanno in piedi alla grande. Sono coloro che devono contare solo sulle vendite, invece, che restano esposti al rischio imprenditoriale e vanno supportati perché rischiano ogni giorno in settore in sofferenza come quello della cultura.  Sulla qualità dei relativi cataloghi, invece, saranno e devono essere i lettori a decidere.

 

Chiaramente mi rendo conto che sto parlando di un’utopia, perché al Salone interessa vendere quanti più stand possibili, al punto che ci sono anche alcuni stand – per quanto in aree infelici e che quindi non verrebbero accettate dagli editori – dove vengono venduti i prodotti che nulla c’entrano col libro, tipo i succhi di frutta (si badi bene che non si tratta di punti di ristoro,bensì dell’azienda XYZ che vende il succo ZYX; a maggior ragione, allora, perché non sfruttare questi spazi per implementare vere aree di ristoro e abbattere un po’ le code?). Quindi giammai Torino (così come qualsiasi altra fiera del libro, peraltro) rinuncerà ad accogliere l’EAP, mentre una scrematura nel senso da me auspicato sarebbe utile, oltretutto, a rendere meno dispersiva la fiera dall’ottica del visitatore.

 

Da ultimo, non posso esimermi dall’osservare che Milano, dove si concentra la maggior parte degli editori, dovrebbe assolutamente riesumare il tentativo già fatto nel 2017 con Tempo di Libri, tentativo purtroppo stroncato dai soliti giochi di potere perché evidentemente infastidiva Torino (prova ne siano tutte le polemiche nate dopo l’annuncio dell’evento). Se si vuole sostenere davvero l’editoria, questi giochetti devono essere accantonati e qui ritengo che solo la politica, se lo volesse, avrebbe la forza di elevarsi super partes e di incidere per allontanare le lotte intestine. Reputo infatti necessario e doveroso offrire alle case editrici quante più finestre possibili, senza che posizioni egemoniche dettino legge per tutta la categoria, sia in termini di esposizione che di influenza su ciò o non possa fare una città, una cosa che non sta né in cielo né in terra e che le amministrazioni comunali non dovrebbero permettere.

 

 

 

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