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Home » editoria » LA FIGURA DEL FOREIGN RIGHTS MANAGER – INTERVISTA AD AMNERIS DI CESARE
martedì, 15 Dic 2015

LA FIGURA DEL FOREIGN RIGHTS MANAGER – INTERVISTA AD AMNERIS DI CESARE

Post by on editoria 4926 0

AmneCome si diventa foreign right manager, ovvero responsabile dei diritti esteri?

Ho lavorato per alcuni anni come interprete e successivamente come assistente per un manager organizzatore di eventi internazionali di tennis e che operava anche come agente per alcuni sportivi all’epoca tra i primi al mondo. Ho potuto affinare in quel frangente l’attitudine a scoprire talenti ancora sconosciuti, perché coadiuvavo il mio capo proprio nella scelta delle nuove leve da mettere sotto contratto. Ho lavorato poi in aziende di moda e finanza, sempre svolgendo mansioni para-manageriali. Mi sono sposata e ho lasciato il lavoro, a malincuore. Una parte di me ha spesso rimpianto quei tempi. Ho sempre avuto il pallino dello scouting. Anni addietro come volontaria, leggevo manoscritti per un sito che applicava la lettura incrociata: ne cestinavo tantissimi, premiandone molto pochi. Ma quei pochi, tutti, hanno successivamente trovato la via della pubblicazione e con case editrici di un certo rispetto. Due amici scrittori che seguo fin dai loro primi passi nella scrittura, e di cui sono fan da sempre, hanno firmato con case editrici di importanza nazionale.

Ho imparato ad avere fiducia nel mio intuito. Così, quando mi è capitato di leggere alcuni libri in inglese amandoli a tal punto da desiderare di tradurli o vederli tradotti in italiano, li ho proposti all’editore per cui collaboro (Amarganta); subito ho contattato gli autori, ho seguito le trattative, due di queste sono andate a buon fine, e due libri hanno venduto ben oltre le aspettative. Ho iniziato così. A tutt’oggi ho trattato e contrattato libri di quattro autori differenti, di cui due ancora sconosciuti in Italia, sto seguendo le trattative per un libro per bambini italiano da far pubblicare all’estero, e sto seguendo altre trattative con agenti e case editrici americane che spero vadano altrettanto a buon fine. Mi sembra di ripercorrere una piccola parte di quel percorso lavorativo abbandonato anni prima.

 

Quali sono i tuoi compiti?

Innanzitutto quello di valutare il testo da un punto di vista editoriale: non è importante solo che la storia sia buona e che il testo sia traducibile in un italiano decente, ma anche quanto possa essere commerciabile e apprezzabile dal pubblico, a che tipo di pubblico si rivolga e in che modo possa venire accolto. Convincere un editore a investire su un testo straniero non è semplice perché le variabili sono diverse: innanzitutto non sempre l’editore ha il tempo o la possibilità di leggere il testo da me proposto nella lingua originale e pertanto deve fare affidamento solo sulla mia intuizione, responsabilità non da poco, questa; non sempre l’editore è alla ricerca solo del ritorno economico ma anche della veicolazione di un messaggio, di un certo tipo di pubblicazione, nel rispetto dell’immagine che il catalogo del suddetto editore ha ed esibisce.

Poi si deve contattare l’autore e, se si tratta di autori americani, in genere, anche quelli auto pubblicati hanno un agente letterario che li sostiene e segue per loro le trattative. Non tutti, ma moltissimi addirittura si disinteressano proprio del fatto che una casa editrice straniera sia intenzionata a tradurli all’estero.

Trattare con gli agenti è impegnativo. Sia nel caso di un autore con già una certa fama in rete o appena esordiente, la maggior parte degli agenti tende a comportarsi come se avesse per le mani una J.K. Rowling facendo proposte assurde, alle volte. Quindi la capacità e la pazienza di mediare e di abbassare le pretese degli agenti è fondamentale. Dico pazienza perché spesso assale la voglia di lasciar perdere subito, mentre invece può valere la pena insistere, contro-proporre, mediare, convincere.

Successivamente, quando si arriva alla stipula del contratto, si deve controllare che tutto quanto indicato nello scambio di email e conversazioni sia effettivamente stato riportato e tutte le eccezioni/correzioni mosse sul testo del contratto siano congrue e non lesive degli interessi della casa editrice.

In genere, mantengo sempre viva la comunicazione tra le parti, spesso anche sollecitando risposte che tardano ad arrivare da entrambe le parti. Mi piacerebbe “studiare” e approfondire altri campi di azione ma l’aspetto del rapporto tra agente e autore è una delle cose che mi piace di più di questa attività.

 

Quali caratteristiche personali richiede questo incarico?

Sicuramente l’avere padronanza di una o più lingue straniere è fondamentale, ma anche la conoscenza del mondo letterario che permetta di mantenere i nervi saldi, non spazientirsi per risposte brusche – che arrivano – e tenere sempre focalizzata l’attenzione sul risultato finale. Se sono convinta che un romanzo sia degno di esser tradotto e pubblicato in Italia, e lo desidero a tutti i costi, l’obiettivo da raggiungere è quello e si deve essere capaci di diplomazia e fermezza e una buona dose di menefreghismo, pure.

Bisogna avere la capacità di leggere in fretta i testi in lingua e riuscire a visualizzarne la resa nella propria lingua madre, capirne il messaggio intrinseco, la possibilità di veicolazione e commercializzazione. Questo parlando di autori ancora sconosciuti al pubblico italiano. Se si parla di autori già famosi, bisogna avere la capacità di scegliere un libro piuttosto che un altro, a seconda della tipologia di catalogo e mission della casa editrice per cui si collabora e a cui si propone l’autore.

E pazienza. Le risposte non arrivano subito, spesso sono lunghi mesi di attesa, altre volte invece gli accordi si finalizzano immediatamente. Dipende. E conoscendo la vita degli autori, le loro necessità, finalità, piano piano si impara anche a capire con chi è più facile fare affari e con chi meno.

Non mi dispiacerebbe, però, poter frequentare un corso di studi mirato a questo tipo di attività per aggiornarmi e approfondire di più le competenze inerenti.

 

Quali sono le differenze di approccio fra gli agenti italiani e quelli esteri, se ne hai riscontrati?

Rapporti con agenti italiani non ne ho avuti, tranne qualche contatto diretto per qualche intervista in passato. E poi credo che il rapporto agente/autore sia diverso da quello agente/scout. Con quest’ultimo c’è diffidenza, e molta attenzione e circospezione nel portare a casa un accordo e un profitto.

 

Quali sono le clausole legali a cui fanno più attenzione?

Sicuramente la percentuale sugli introiti, specialmente quella sugli ebook. Una sensazione che ho avuto molto forte è che attualmente l’attenzione sia focalizzata sul digitale: la maggior parte degli agenti è consapevole della profonda crisi che il mercato editoriale italiano sta attraversando sul libro cartaceo, mentre è agguerritissimo nei confronti dell’ebook. Una trattativa, poi non andata a buon fine, riguardava proprio questo: volevano negoziare solo i diritti dell’ebook, tralasciando completamente il cartaceo – che ci avrebbero quasi regalato – e la cifra che chiedevano era davvero considerevole.

In più, sono fiscalissimi sulle questioni di merchandising e alcuni sulla resa della traduzione, dove espressamente sottolineano il non ridurre, tagliare, cambiare il testo in alcun modo. Un agente aveva chiesto sul contratto l’obbligo di sottoporre una prova della traduzione alla casa editrice/agenzia letteraria, prima di pubblicare il libro e l’obbligo di sottostare al loro benestare circa la traduzione, prima di far uscire l’ebook. Alcuni, poi, sono molto attenti alla grafica delle copertine, vogliono poter avere voce in capitolo anche su questo. E su queste cose, si deve trattare, mediare, discutere tra le parti e io spesso mi trovo in mezzo a fare da arbitro.

 

Quali sono i Paesi che hai trovato meglio disposti a sbarcare in Italia?

Credo che sbarcare in Italia o comunque in un qualunque Paese estero sia un po’ il sogno di tutti. Piuttosto, ho trovato resistenze da parte di alcune case editrici e agenti letterari riguardo alla grandezza e importanza della casa editrice a cui avrebbero dovuto cedere i diritti, forti del fatto che una Big italiana sia più solvibile di una piccola. Salvo poi, magari, ricredersi.

 

Fra gli autori acquistati, tutti sono rappresentati da un agente o c’è anche chi fa da sé?

Sì. Alcuni autori, approdati a grosse case editrici con alcuni titoli, si riservano però una piccola nicchia di titoli da destinare al self-publishing e al download gratuito. Con loro ho avuto molta facilità a finalizzare accordi che si sono rivelati immediatamente proficui per entrambe le parti. Infatti da alcuni autori ricevo oggi direttamente le proposte prima ancora che il libro esca in lingua originale self-pubblicato.

 

Con che criteri individui un’opera che ti piacerebbe importare?

Valuto tre cose:

la trama: deve essere originale, non banale, qualcosa di non letto altrove.

lo stile: chiaramente deve trattarsi di un testo grammaticalmente corretto (e anche in inglese e in portoghese ho visto cose che…), ma deve avere anche un certo carisma, la capacità di coinvolgere non solo attraverso le azioni ma anche mediante un’impostazione “lirica” di fondo, che permetta di affascinare.

il messaggio: sono convinta che si scriva perché si ha qualcosa da dire e non solo per dire qualcosa. Ogni romanzo ha un messaggio, una morale, un tema che vuole affrontare e che vuole mostrare al lettore. Anche nel “romance” più melenso, c’è almeno il tema dell’amore appassionato che vuole essere svelato. Certo, se le tematiche son più d’una e sono scottanti o poco trattate ancora meglio.

In pratica, devo essere coinvolta e trascinata nella lettura di un libro e devo sentire dentro di me “la voglia”, se non addirittura il “bisogno” di tradurlo e farlo leggere ad altri. Quando questa necessità scatta, allora quel libro lo devo “avere”. Per la casa editrice che seguo.

 

Molti autori ritengono che la ‘migrazione inversa’ con un manoscritto mai pubblicato possa essere la soluzione ai rifiuti raccolti in patria. Io non sono d’accordo e l’ho scritto in un apposito articolo del blog. Tu cosa ne pensi?

Io invece sono assolutamente convinta che molti autori italiani dovrebbero migrare, pubblicare prima all’estero e poi essere scoperti in patria. Avviene così anche nella musica, perché non dovrebbe avvenire nella narrativa? Nemo profeta in patria, diceva Gesù, ed è così, purtroppo, in Italia più che altrove. Vedo tradotti libri best seller stranieri che al leggerli mi cadono le braccia. E leggo di romanzi italiani scritti da autori a cui gli scrittori dei best-seller di cui sopra non sarebbero degni neppure di spazzolar le scarpe, a livello di stile, creatività e capacità di coinvolgere. Allora perché non fare così anche noi? Andare all’estero, farsi apprezzare e poi tornare, nel caso, e farsi riconoscere dai “nostri” in Patria, una volta avuto successo fuori? L’esterofilia, si sa, è uno dei difetti più grandi di noi italiani.

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