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Home » Uncategorized » EDITORIA E CORONAVIRUS
martedì, 31 Mar 2020

EDITORIA E CORONAVIRUS

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Come in ogni settore produttivo, anche in editoria si registrano gli effetti del coronavirus. Pur non essendo tutti negativi, il bilancio generale, purtroppo, lo è. Provo a riassumerlo sia basandomi delle informazioni ufficiali che giungono dall’AIE, sia da quello che emerge dalla mia cerchia di amici e/o clienti autori ed editori.



Cominciamo dai pochi vantaggi: la digitalizzazione forzata delle offerte formative da parte dell’ editoria didattica, l’aumento degli abbonamenti alle riviste online, un’ampia offerta di ebook gratuiti messi a disposizione da svariati editori, la moltiplicazione dell’offerta di video di intrattenimento o educativi sui vari canali social delle case editrici, tempi di lavoro più rilassati per queste ultime – specie quelle con solo una, due o tre persone – che stanno riuscendo a smaltire l’enorme arretrato di lavoro accumulato negli anni.



Se però si va a esaminare i contra, i succitati benefici diventano risibili e le ricadute a effetto domino per innumerevoli figure della filiera appaiono spaventose per varietà e numeri.



L’online

A fronte dell’aumento degli abbonamenti online corrisponde anzitutto un crollo dei giornali nelle edicole, a causa delle enormi limitazioni imposte sugli spostamenti.

La chiusura delle librerie, oltre a essere, come intuitivo, letale per loro stesse (ALI Confcommercio stima la perdita del primo mese di epidemia in 47 milioni di euro, cioè il 6% del fatturato annuo), significa anche il taglio di un canale distributivo vitale per le case editrici, indispensabile anche per le presentazioni dei nuovi titoli. Per contro, nella maggior parte dei casi esse (specialmente le medio-piccole che non vantano best seller, la cui vendita è comunque stimolata da particolari offerte) non registrano un corrispondente impulso di vendita degli ebook (a parte qualche sporadico caso in controtendenza che mi viene riferito nel settore del self-publishing, ma trattasi di autori che avevano già costruito un proprio seguito nell’arco di anni), nonostante la gente sia tappata in casa e necessiti di ingannare il tempo. Questo sembra dovuto a due fattori principali:



  1. i lettori compravano pochissimo, già normalmente, sulle piattaforme di ecommerce dei singoli editori (secondo quanto mi riferiscono i diretti interessati), probabilmente perché la concorrenza di Amazon è in grado di applicare maggiori sconti (anche se si dovrà valutare l’impatto della nuova legge sulla scontistica appena varata, che impone limiti a tutti) e comunque di abbuonare le spese di spedizione con l’abbonamento ad Amazon Prime;
  2. con l’emergenza coronavirus e la scarsità di risorse umane conseguente, unita all’aumento della normale domanda da casa, Amazon si sta concentrando sulla vendita di generi di prima necessità, trascurando quindi gli approvvigionamenti dei libri presso gli editori.

Sembrerebbe andare un po’ meglio per gli store online come Feltrinelli e IBS, che dall’immobilismo di Amazon stanno traendo vantaggio, registrando un aumento fra il 25 e il 50% delle richieste, con conseguente allungamento, però, dei tempi di consegna e l’eliminazione del pagamento contrassegno, per evitare il contatto fisico fra corriere e acquirenti.



Alcune librerie si stanno organizzando per cercare di sviluppare nuovi modelli di business, come questa iniziativa, ma gli editori, a parte qualche piccola idea come quella del Libro Sospeso lanciata dai piccoli, non sono nella condizione oggettiva di potersi inventare un superameto dei problemi di cui sopra, neanche implementando la realizzazione di ebook (misura cui almeno i grossi gruppi sono comunque restii perché questo provocherebbe un ulteriore colpo alle librerie fisiche); problemi oltretutto acuiti dalla cancellazione dei numerosi eventi fieristici e/o tematici che si tengono numerosissimi in tutto il Paese e che spesso danno un pochino di ossigeno momentaneo alle vendite sempre più asfittiche degli ultimi 10 anni. Fra l’altro, anche gli organizzatori di questi happening si vedono cancellati tutti gli introiti ed ecco quindi un altro settore collaterale che crolla completamente.



Gli audiolibri

Per i piccoli editori, non paiono funzionare nemmeno le offerte di audiolibri in streaming, forse perché questo formato non è finora riuscito a sfondare nel nostro Paese (mentre invece è molto popolare in altri, come per esempio il Regno Unito) Va infatti ricordato che, prima dell’avvento delle piattaforme streaming, quando l’unico modo per realizzare audiolibri era una costosa produzione in cd, neppure Harry Potter riuscì a fare il miracolo: Salani infatti si fermò al secondo volume. E se non c’è riuscita la Rowling (che l’anno scorso ha sfondato la quota di mezzo miliardo di copie vendute in tutto il mondo), chi può farlo?



La distribuzione

Come se tutta l’apocalisse di cui sopra non bastasse, molti editori hanno ricevuto dai propri distributori informative che li avvisano di come, nei prossimi mesi, non potranno essere garantiti i pagamenti. Alcuni distributori ne annunciano addirittura la sospensione. Un problema che, di nuovo, scaturisce dalla chiusura delle librerie e che si riverbererà anche sul pagamento delle royalty autoriali, a maggior ragione se, come facilmente accadrà, i numerosi resi effettuati dai librai nelle ultime settimane produrranno un effetto compensazione sui dare/avere dei conti fra case editrici e distributori. Questi ultimi scaricheranno infatti i numeri dei resi sui primi, che si vedranno così privare anche di quei pochi soldi ricavati dai libri effettivamente venduti.



Una pessima idea

Non voglio impelagarmi in dissertazioni sulla gestione dell’epidemia perché andrei fuori tema, ma mi limito ad osservare che non credo che tenere aperte le librerie avrebbe fatto differenza negativa sul contenimento epidemico. Le librerie, specie quelle indipendenti, sono già deserte in tempi normali e quindi dubito che folle assatanate avrebbero potuto assaltarle. Per quanto riguarda le grosse catene, si sarebbe potuto contingentare le entrate come si fa nei supermercati, anche qui di nuovo, senza che questo potesse creare le interminabili file di questi giorni (magari!).

Visto che l’editoria è in crisi da così tanto tempo, molto più di altri settori, sarebbe stata una considerazione da fare assolutamente, a mio avviso. Perché, per come stanno andando le cose, si rischia di perdere per strada gran parte del suo tessuto, a maggior ragione se l’odioso immobilismo del governo continuerà a evitare di intraprendere misure serie per sostenere l’economia italiana (perché, a quel punto, non sarà solo l’editoria ad andare irrimediabilmente a rotoli, bensì l’intero Paese).

L’Osservatorio AIE riporta infatti che già al 20 marzo vi è stato un generale riesame dei piani editoriali per l’anno in corso, riducendo del 25% le novità in uscita. L’AIE calcola sinora 18.600 titoli in meno e oltre 39 milioni di copie stampate in meno nel 2020. Queste selezioni saranno una mannaia anzitutto per le tipografie (il cui business è già minato dalla cancellazione di eventi di ogni sorta, con impatto sulla stampa di manifesti, opuscoli, locandine); lo sarà inoltre per gli aspiranti autori, ma anche per i traduttori, gli editor, i correttori di bozze e per tutta la filiera collaterale che si occupa di fornire servizi di progettualità e/o sartoria editoriale (anche se, pure qui, mi viene segnalato qualche sporadico caso in controtendenza per quanto riguarda instant book per l’infanzia appena commissionati, forse per appetire la richiesta di svago per i più piccoli creata dalla quarantena; tuttavia gli instant book sono, per definizione, prodotti transitori).



I diritti esteri

Titoli in meno significa anche minori vendite e acquisti di diritti da e verso l’estero, già minati dalla impossibilità di frequentare le grandi fiere di settore come Bologna, Torino, Londra e New York, dove avvengono appunto gli incontri ad hoc, perché sono state tutte cancellate (con ulteriori ricadute su tutto l’indotto del settore turistico che vi ruota attorno). Si potrebbe pensare che gli appuntamenti già programmati potrebbero comunque svolgersi via Skype (anche se, in questo tipo di vendite, il valore aggiunto rappresentato dal contatto di persona è poco sostituibile), ma mi riferiscono che, purtroppo, il futuro è così incerto per tutti che, comprensibilmente, al momento nessuno si azzarda a lanciarsi in acquisti, neppure a distanza.

La diminuzione, quando non addirittura il blocco, delle vendite dei diritti esteri impatterà, di nuovo, non solo su autori ed editori, ma anche sugli agenti, che normalmente campano di percentuali sugli accordi procurati e che difficilmente riusciranno a compensare con i service di editing che spesso offrono (o impongono) sui manoscritti, perché anche gli autori saranno meno disposti ad acquistare tali servizi, sia per l’incertezza economica futura, che farà loro preferire di destinare il proprio denaro ad altre risorse, sia per la consapevolezza che il già difficile sbocco al mercato si farà ancora più duro.



I lavoratori

Per quanto riguarda infine, last but not least, i lavoratori delle case editrici, AIE riferisce che il 61% sta considerando di ricorrere alla cassa integrazione, cosa che probabilmente succederà anche al personale delle librerie.

Per ora i licenziamenti sono bloccati dal Cura Italia per due mesi, ma resta da vedere cosa accadrà quando, prima o poi, il blocco sarà rimosso. Fra l’altro, le già risibili risorse stanziate (per adesso solo a parole) dal decreto, hanno ignorato completamente l’editoria.



Il Dopo

Se anche il settore resisterà fino all’estate (che, lo ricordo, è la previsione più ottimistica per la riapertura completa) in mezzo a questo tsunami, sperando di tamponare almeno qualche ferita con il riavvio della ‘macchina’ nell’ultimo semestre dell’anno, ci sarà comunque talmente tanta concentrazione di offerta e di eventi da superare ampiamente la domanda, a maggior ragione se le tasche degli Italiani si saranno rimpicciolite qualora il governo non sarà stato in grado di governare l’emergenza ponendo in essere le politiche monetarie che vanno coraggiosamente intraprese per arginare la generale ecatombe (lo ripeto, non solo in editoria).



Cosa potrebbe accadere di peggio? Ah, sì: “potrebbe piovere” (cit.)







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