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Home » diritto d'autore » L’INSOSTENIBILE TENTAZIONE DEL COPYRIGHT: THE NOCTURNE V. BREAKING DAWN
venerdì, 21 Set 2012

L’INSOSTENIBILE TENTAZIONE DEL COPYRIGHT: THE NOCTURNE V. BREAKING DAWN

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C’è una  errata percezione sul plagio, che è purtroppo molto diffusa. Molti pensano infatti che il diritto d’autore protegga le idee, mentre il diritto d’autore protegge la forma espressiva che le veicola. E che lo ignorino altri scrittori in cerca di notorietà può anche essere comprensibile e, fino a un certo, punto scusabile. Quello che non lo è sono le schiere di avvocati che queste sottigliezze dovrebbero spiegarle ai propri clienti, per non rischiare di imbarcarli in liti temerarie.

 

L’impressione è che invece i legali americani abbiano ormai l’atto di citazione facile, contribuendo così ad alimentare l’ego di persone che, semmai, avrebbero bisogno di sgonfiarlo un po’. Ego, per esempio, come quello della sconosciuta Jordan Scott, che nell’estate del 2009 fece causa a Stephenie Meyer, la famosa autrice della saga di Twilight, sostenendo che la trama del quarto volume di quella serie, Breaking Dawn, fosse un plagio del suo romanzo The Nocturne.

 

Il primo fu pubblicato nel 2008, mentre il secondo, parte di una trilogia fantasy in itinere, fu pubblicato in Rete nel 2006 e, poco dopo, autopubblicato su carta.

 

Alla Meyer furono contestate assurdità come, ad esempio, una scena di sesso dopo un matrimonio, il personaggio di una donna incinta di un bambino dai poteri malefici e una scena in cui la moglie di uno dei personaggi principali muore. Si può obiettare, e a ben ragione, che scene come queste si trovano ovunque, a mazzi di due nichelini al chilo, ma quello che è evidente a chiunque non lo era evidentemente per la Scott. L’autrice sostenne che la Meyer si sarebbe spinta persino a riprendere intere frasi dalla sua opera: ad esempio, nella scena di sesso sopramenzionata,  la Scott mise a  confronto la propria  frase:

 

“There was silence. It could have been no more perfect”

(C’era silenzio. Non avrebbe potuto essere più perfetto),

con quella della Meyer, laddove questa  scriveva:

“The moment was so perfect, there was no way to doubt it”

(Il momento era così perfetto che non c’era modo di dubitarne).

 

Se vi sembra che la puntualizzazione sintattica di cui sopra non aggiungesse un millimetro alle pretese della Scott, a parte incrementare il ridicolo, non potrete fare a meno di sbellicarvi dando uno sguardo ai raffronti di passaggi ritenuti similari e allegati alla lettera inviata dai suoi avvocati a Stephenie Meyer. Chi di voi conosce l’Inglese può visionare il documento a questo link e rendersi conto da sé della pretestuosità e risibilità dei rilievi.

 

Ma il senso del ridicolo non fece comunque arretrare né la giovane autrice né il suo team legale, che anzi, non avendo avuto riscontro alla propria lettera di ‘cease and desist‘,  depositò una citazione in tribunale, demandando al giudice californiano Otis D. Wright II la soluzione della controversia. Questi, nel dicembre dello stesso anno, emise una sentenza tanto semplice quanto scontata: Stephanie Meyer non aveva copiato Jordan Scott. Il giudice osservò infatti che i due lavori non avevano similarità sostanziali dal punto di vista legale. Si trattava solo di scene che avevano lo stesso tema sotteso ma che, dal punto di vista formale, non erano neppure lontane parenti.

 

Breaking Dawn venne qualificato come un lavoro che possiede, attraverso l’intera storia “un tono molto moderno e fresco che attrae un pubblico giovane”, mentre The Nocturne sarebbe “un’amalgama linguistica dai toni prevalentemente più arcaici che moderni, probabilmente senza riscontri sia nella letteratura classica che in quella moderna”.

 

Questa osservazione,  unita alla quarta di copertina della Scott —  che fa presagire la solita zuppona psuedomedioevale con lo stregone-che-non-sa-di-esserlo — risulta abbastanza inquietante, perché alla banalità della trama aggiunge l’idea che la sua autrice non sia stata in grado di scegliere e padroneggiare un registro fino in fondo, altalenando paurosamente fra l’uno e l’altro. A meno che si abbia davanti un genio che è stato invece in grado di reinventare la lingua in un modulo straordinariamente innovativo, mai riscontrato, appunto, sino ad ora. Lascio ai lettori la ripartizione delle probabilità a favore dell’una o dell’altra ipotesi.

 

Resta da chiedersi cosa abbia guadagnato l’accusatrice: sicuramente visibilità momentanea e un traffico più massiccio verso il proprio sito. Due traguardi comunque effimeri che, dopo la sentenza, sono presto svaniti.  Mentre non svanirà tanto presto la ‘macchia’  della sconosciuta che ha voluto tentare un colpo disonesto a spese di una scrittrice molto amata. E che, addirittura, è stata bacchettata dal giudice “per aver rappresentato le similarità in maniera fuorviante”.

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