EDITORIA E LEGGE
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venerdì, 16 Nov 2012
EDITORIA POSSIBILE E IMPOSSIBILE – PARTE 1
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Recentemente ho postato una specie di personale ‘manifesto’ sull’editoria che, in quanto tale, è ovviamente utopico. Rispetto alla situazione che ho vagheggiato, la realtà è sicuramente più variegata, anche se conosco situazioni ideali e dunque so con certezza che raggiungere quegli obiettivi è possibile.
Sto parlando, lo ri-sottolineo a scanso di equivoci, di piccola editoria e di autori non famosi, perché se si andasse sulla macroeditoria e sui bestselleristi, il discorso cambierebbe per via degli ego e degli interessi in gioco.
Torniamo quindi al nostro ‘giardinetto’, che poi è rappresentato dalla maggior parte dei casi. Nelle situazioni in cui la realtà è diversa rispetto all’idillio che potrebbe essere (e che, come ho detto, qualche volta effettivamente è), si presentano due figure disfunzionali: l’autore megalomane e l’editore dissociato.
In questo post tratterò del primo, mentre la seconda figura verrà esaminata in un post successivo. Questo perché, trattandosi di due tragiche patologie, foriere di numerose implicazioni, riunirle in un’unica trattazione risulterebbe operazione eccessivamente lunga.
Ma non temete, l’intervallo che intercorrerà fra i due articoli sarà breve, quindi ora godetevi la prima parte dedicata a:
L’AUTORE MEGALOMANE
In sintesi, è l’incubo di ogni editore, l’antitesi dell’autore collaborativo e proattivo che, normalmente, tutti sognano.
Nel dettaglio, l’autore megalomane, una volta passato il vaglio del manoscritto, pretenderà anzitutto di rivedere il contratto da cima a fondo, avanzando richieste di anticipi e di royalty da gemello clonato di Stephen King.
Ora, normalmente è giusto e doveroso discutere i termini contrattuali, laddove ci siano clausole non chiare o addirittura sbilanciate, anche perché più se ne discute prima di firmare, meno facile diventa il sorgere di rogne a posteriori. Vale, insomma, il vecchio e intuitivo adagio “patti chiari, amicizia lunga”.
Anche gli anticipi, in piccola misura, possono essere possibili in ambito micro e medio editoriale, ma si tratta, al massimo, di un importo pari a un terzo dell’ ‘Offertona del Mese‘ di una cucina Ikea, naturalmente IVA, trasporto e montaggio esclusi.
Infine, le royalty di un autore che non sia famoso oscillano, a seconda dei casi, fra il 4% e il 10%. I due estremi sono i più rari, più frequente è il 5% o la formula 7% & ’8% a scalare, ossia il 7% fino alla vendita della tot copia e, da lì in avanti, l’8%.
Oltre a pretendere di uscire da questi parametri, l’autore megalomane sarà refrattario a qualsiasi forma di editing: il suo scritto è già perfetto così come è nato dalla sua penna e se l’editor intervenisse anche solo su una frase, stravolgerebbe il capolavoro immortale, creando così un paradosso spazio temporale che condurrebbe la Terra, attraverso un buco nero supermassivo, in una dimensione nella quale saremmo certo “circondati dalle pulci gigantesche provenienti dal futuro che non amano la luce preferiscono l’oscuro” (cit).
Normalmente, è giusto e capibile provare ritrosia verso le modifiche apportate a un proprio scritto ma, se la ragione prevale, ci si accorge che l’editor ha quasi sempre ragione. Di solito, la sua formulazione scorre meglio, è più concisa e, nonostante questo, riesce a far convergere una maggior gamma di significati nel periodo in esame. E’ un po’ come – perdonate la metafora casalinga, ma rende bene – pulire i cristalli sfaccettati dei lampadari a gocce: se, anziché solo con un panno, li si passa con un detergente, saranno in grado di creare più giochi di luce una volta accese le lampadine. Ecco, laddove l’autore ha semplicemente passato il panno, l’editor ci dà dentro di detersivo e olio di gomito, migliorandone sicuramente l’effetto finale (ora attendo gli insulti di tutti gli editor là fuori che si indigneranno a sentirsi equiparare a lucidatori di lampadari ). Certo, bisogna che l’editor sappia il proprio mestiere, perché per fare editing non basta sapere le regoline dei manuali: è necessario avere un’attitudine naturale (l’equivalente dell’orecchio musicale) e una lunga esperienza, il che permette non solo di conoscere le norme basilari della buona scrittura ma anche di accorgersi se, quando e come, nel caso specifico, è permesso disattenderle.
Questo non significa che con l’editor non si possa discutere e, a volte, anche impuntarsi, ma percentualmente saranno rari i casi in cui lo scrittore ha davvero motivo di farlo. Né significa che, se l’autore si rende conto di avere dinanzi un editor invasivo (e purtroppo ce ne sono), che pretende di riscrivere il libro col proprio stile, non possa pretendere di lavorare con un altro. O, in alternativa, di rinunciare alle modifiche imposte, anche se significa rinunciare a pubblicare. Ma sull’argomento dell’editing invasivo avremo modo di tornare prossimamente.
Ora torniamo invece al nostro amabile autore megalomane: se l’editore, passate le forche caudine della trattativa contrattuale e della fase del normale editing, non avrà ancora ceduto all’impulso di ingaggiare un pratico ed economico killer guatemalteco, a questo punto giungerà per lui il calvario della promozione, per cui l’autore megalomane pretenderà poster e cartonati formato J.K. Rowling, un booktour di almeno 12 date davanti a centinaia di fan (ovviamente a spese dell’editore e con cachet minimo pattuito), interviste nei maggiori network radio e tv, oltre che su tutte le più note testate nazionali, e infine torri di volumi in tutte le librerie.
Ok, ok, lo ammetto, ho volutamente calcato un po’ la mano, ma non più di tanto (facciamo solo i cartonati, 4 date, almeno un paginone sul Corrierone e un paio di talk show, oltre a una pila vicino alla cassa da Feltrinelli?).
Ovviamente, nella realtà, un piccolo editore non potrà mai permettersi né i costi di poster e cartonati, né tirature in grado di formare torri di volumi né, tantomeno, il pagamento di spazi privilegiati in libreria o l’ attenzione di grossi media. Quanto ai booktour, ormai è già difficile mettere assieme due date gratuite, figuriamoci una serie e a pagamento!
Ciò non significa, però, che l’editore non debba prodigarsi per aiutare i propri autori a fornire il materiale grafico e contenutistico ai media, o per contattare – fra costoro – quelli per lui raggiungibili, o per assicurarsi che alle presentazioni – ancorché unicamente presso la cartoleria sotto casa dell’autore, in memoria dei bei tempi in cui questi andava a comprarci l’alfabetario – vi sia effettiva disponibilità di volumi da acquistare. E poi, anche a fronte di vendite pari a zero, non vorremo mica negare al cartolaio la soddisfazione di poter dire al vicinato:
“Eh, il nostro scrittore io l’ho visto nascere artisticamente, fin da quando frequentava la I° B e scriveva ‘capostazzione’”.
A questo punto, se il povero editore – dopo aver provato a resistere mediante il rifugio nella psicoterapia ericksoniana, quindi nei servigi di uno sciamano Mapuche e, infine, in un percorso formativo da Cavaliere Jedi in 20 comode lezioni via webinar – non avrà liquidato l’attività per ritirarsi nella pace suprema di un monastero di Lhasa, arriverà anche l’ultimo scoglio: la rendicontazione. Ma, come ci ammoniva giustamente il buon Lucio Battisti, “come può uno scoglio arginare il mare?” E infatti non può perché, giunto a questa fase, l’autore megalomane – che non si capacita di come la sua opera immortale abbia venduto solo 28 copie nell’anno solare precedente, di cui 20 ad amici e parenti sotto ricatto e/o lusinga – minaccerà di fare causa all’editore fedifrago, che di certo lo sta derubando truccando la contabilità con la complicità del commercialista. Per questo si metterà alla ricerca di un avvocato, il quale però, riconosciuto subito il tipo di cliente fin dal primo (in)consulto in Studio, si professerà in realtà esclusivamente dedito allo studio del Diritto Maluriano e quindi impossibilitato a farsi carico della sua vertenza.
La liberazione della scadenza del contratto sarà salutata dall’editore come gli Europei fecero con gli Americani dopo lo sbarco in Normandia, ma naturalmente l’autore megalomane non mancherà di lasciare il proprio strascico parlando male dell’editore a chiunque gli venga a tiro, con un’acrimonia al cui confronto la signorina Rottenmeier sembrerà una versione melensa di Melania Hamilton.
Perché, naturalmente, è tutta colpa dell’editore se lui, l’autore megalomane, non è stato acclamato a furor di popolo come il nuovo Hemingway.